L'ala azzurra combatte la sua battaglia.
Dalla Gazzetta dello Sport a firma Davide Romani, l'"urlo" di Achille Polonara. Ha vinto titoli nazionali in quattro nazioni - con il Vitoria in Spagna, con il Fenerbahce in Turchia, con lo Zalgiris in Lituania e quest'anno con la Virtus in Italia -, ha sconfìtto un tumore ai testicoli. Ora, a 33 anni, Achille Polonara sta giocando la partita più importante: l'avversaria è la leucemia mieloide. A inizio luglio l'ala della Nazionale si è trasferita a Valencia per affrontare i cicli di chemio e il successivo trapianto di midollo. Con lui tutta la famiglia: la moglie Erika, i figli Vitoria di 4 anni e Achille junior di 2. Polonara, quali sono stati i sentimenti che l'hanno travolta nel momento della diagnosi? «Sconforto. Dopo due anni a lottare per sconfìggere un tumore mi è cascato il mondo addosso nello scoprire di avere una patologia ancora più grave. Ho incominciato a pensare: "perché proprio a me?", "cosa ho fatto di male?". In confronto a questa malattia, quello che ho avuto prima non è paragonabile. Quando ho sentito la parola leucemia l'ho accostata alla morte. Fa paura». Dopo i primi giorni a Bologna, ora è ricoverato a Valencia. Perché questa scelta? «Perché in Italia nessuno propone questo tipo di cura. Ho finito un ciclo di chemio mercoledì scorso e ne inizierò un secondo tra qualche giorno. In questi giorni di "pausa" prendo delle pastiglie che dovrebbero in futuro abbassare il rischio di recidiva. Pratica che nel nostro Paese non c'è. I primi giorni non sono stato benissimo: ho avuto nausea e mal di pancia e mi hanno alimentato tramite flebo». Mercoledì è previsto il raduno azzurro in vista dell'Europeo: che messaggio vuole mandare ai suoi compagni? «Mi dispiace molto non far parte del gruppo ma naturalmente quest'estate sarò il primo tifoso della Nazionale. Io ho un'altra partita da vincere ma certo, se dovessero andare bene le cose all'Italia mi darebbe ancora più forza per la mia battaglia». È in contatto con i compagni di Nazionale? «Assolutamente sì. Non mi fanno mancare la loro vicinanza. Ne sento 2-3 ogni giorno. Ad esempio giovedì mi sono fatto una bella chiacchierata al telefono con Gallinari, poi ho sentito Tonut. Ovviamente ho parlato con Spissu, per me è come un fratello. Tutti i giorni mi scrive Pozzecco che non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno. Ho percepito la vicinanza della grande famiglia azzurra». Realisticamente, dove può arrivare l'Italia all'Europeo? «Mi auguro si tolga di dosso lo scoglio dei quarti di finale. Speriamo che il bronzo delle ragazze spinga anche gli azzurri ad arrivare tra le prime quattro». Vedo che posta tutti i giorni una fotografia dei figli sui social... «Da quando sono in ospedale li ho visti una volta sola. Non è facile». Come ha spiegato loro la sua assenza? «Ho iniziato ad avere la febbre a maggio durante la serie dei quarti playoff con Venezia. Quindi a Vitoria e Achille junior abbiamo detto che ho un virus. Certo, con il piccolo basta, mentre la grande comincia a fare domande, vuole sapere». Durante i playoff scudetto si è subito reso conto che qualcosa non andava bene nel suo fìsico? «La febbre non andava via, ero debole, stanco, ma ho pensato fosse dovuto al momento stressante della stagione». Invece? «Dalla vigilia di gara-3 contro Milano tutto è cambiato. Quel giorno ho effettuato gli esami e la Tac di controllo post tumore. Una prassi che ripeto con cadenza semestrale. E tutto era nella norma. Però alla sera in hotel la febbre non scende, è 38.1. Allora decido di chiamare il dottore della squadra che mi raggiunge in camera. In quel momento ammette che un valore degli esami era un po' basso. Decidiamo di tornare a Bologna per accertamenti, così la mattina dopo riparto e mi ricoverano. Inizialmente sembrava fosse mononucleosi poi invece è arrivata la diagnosi che ora tutti sapete: leucemia mieloide». È riuscito a godersi la conquista dello scudetto con la Virtus? «La squadra mi ha fatto visita prima di partire per gara-3 della finale, poi nel riscaldamento avevano tutti la maglia con il mio nome e numero. Nel dopo partita la video chiamata dagli spogliatoi. E poi il giorno dopo Belinelli, Pajola e Shengelia sono venuti a portarmi la Coppa in ospedale, a Bologna. E Toko mi ha consegnato il trofeo del miglior giocatore: "è tuo, sei tu l'mvp". Sono stati giorni molto toccanti».