Oscar, ‘O’ Rey’ di Caserta: il brasiliano che faceva sempre canestro

10 giugno 2025 09:52

Fabrizio Carcano ci racconta Oscar.

Ha segnato quasi 50 mila punti in 26 anni di carriera da professionista: per la precisione 49973, secondo in assoluto dietro a LeBron James.

Ha disputato cinque Olimpiadi, tutte quelle dal 1980 al 1996, segnando oltre mille punti, con il record olimpico di una media di 42,3 punti ai Giochi di Seul del 1988, record mai infranto nemmeno dai fenomeni del Dream Team.

Sono i numeri di un fuoriclasse inserito nella Hall of Fame, pur non avendo mai giocato in NBA e nemmeno in Coppa dei Campioni e senza aver mai neppure vinto un titolo nazionale europeo: Oscar Daniel Bezerra Schmidt.

Per i brasiliani Mao Santa, la mano santa perché quando il pallone usciva dalla sua mano entrava nella retina.

A Caserta semplicemente ‘O’Rey’, come il connazionale Pele’.

Difficile raccontare Oscar, secondo miglior realizzatore assoluto nella nostra serie A con 13957 punti in 11 stagioni (superato solo da Antonello Riva che però in A ha giocato 25 campionati), a chi non lo ha visto giocare e segnare a Caserta.

Per sette anni nella serie A1 italiana non c’è stata corsa nella classifica marcatori: vinceva sempre lui, il brasiliano trapiantato nella città della Reggia, viaggiando a 34,6 punti di media, scavalcando quota 50 punti ben 28 volte, arrivando anche oltre i 60.

Ala alta di 205 centimetri, atletico, più tre che quattro, Oscar era soprattutto un tiratore mortifero.

Classe 1958, in Brasile era esploso giovanissimo, il basket europeo lo conobbe durante una finale di Coppa Intercontinentale del 1979 tra i brasiliani del Sirio, dove giocava 21enne, e gli slavi del Bosna Sarajevo allenati dal giovanissimo Bogdan Tanjevic che rimase folgorato dal suo talento realizzativo.

Tre anni dopo Boscia approda in Italia, accettando la corte del cavalier Giovanni Maggio’, intenzionato a costruire una squadra da ricordare per sempre nella provincia più lontana dalle metropoli dei canestri: Caserta.

Partendo dalla A2 e da coach vincitore tre anni prima della Coppa dei Campioni.

Tanjevic accetta e chiede come primo mattone per costruire la squadra quel tiratore brasiliano affrontato a San Paolo tre anni prima.

Inizia l’avventura mitologica di Oscar: subito la A2 vinta, poi la crescita graduale nella massima serie.

In tre anni Caserta arriva alla sua prima finale scudetto, la prima di due consecutive perse contro Milano, sfiora una prima Coppa Italia, perde una finale di Korac.

E’ la squadra dei mancati trionfi, con un quintetto dove emerge il talento atletico di Sandro Dell’Agnello, ‘Sandrokan’, e esplodono prima il giovanissimo Nando Gentile, titolare già a 16 anni, e poi Enzo Esposito, prime linee di una panchina tutta ‘Made in Sud’ con i vari Longobardi, Rizzo, Tufano e Fazzi.

Nel 1988 una leucemia stronca prematuramente il cavalier Maggio’ proprio quando la sua Juve Caserta vince la Coppa Italia: con il senno di poi sarà la sliding door del destino sportivo di Oscar.

L’anno dopo la cocente sconfitta nella finale di Coppa delle Coppe, ad Atene, al Pireo, contro il Real Madrid di un Drazen Petrovic immarcabile: il Diavolo di Sebenico segna 62 punti, Mao Santa ne infila 44.

Poi un’altra finale di Coppa Italia persa e la separazione traumatica.

Nell’estate 1990 sono gli ‘scugnizzi’ bianconeri a chiedere alla società di cedere Oscar: troppo ingombrante sul parquet, dove i palloni passano tutti dalle sue mani, rendendo prevedibili gli attacchi bianconeri.

Arrivato a 24 anni Oscar saluta Caserta con le lacrime agli occhi a 32, per aprire una seconda parentesi italiana a Pavia, un’altra provincia, dove vince subito la A2 proprio nelle settimane in cui la sua Caserta conquista al Forum di Assago, a venti km da Pavia, il suo primo e unico scudetto.

Senza Oscar la Juve è campione d’Italia, forse la sua più grande sofferenza in carriera.

Ma ormai Oscar è a Pavia.

Dove però la favola provinciale non si ripete: la Fernet Branca la stagione successiva non è competitiva in A1 e retrocede, poi una crisi societaria obbliga a ridimensionare il budget, per un’ultima stagione in A2 da metà classifica con un Oscar in calo e ritenuto ormai troppo costoso per la realtà pavese avviata al tracollo sportivo che arriverà due anni dopo.

Nell’estate 1993 il 35enne fromboliere brasiliano saluta l’Italia per andare a segnare a Valladolid, poi il ritorno in Brasile dove giocherà ancora fino al 2003, prima di ritirarsi a 45 anni.

Il suo nome resta legato indissolubilmente a quello di Caserta e di quegli anni d’oro, coincidenti con gli anni di Maradona al Napoli, anni in cui Oscar all’ombra della Reggia è l’equivalente di Diego sotto il Vesuvio.

Per restare in bianconero rifiuterà la chiamata NBA dei New Jersey Nets nel 1984 e soprattutto un faraonico contratto pluriennale dal Real Madrid nel 1987, senza rimpianti: perché Oscar a Caserta era ‘O Rey’ e voleva vincere in bianconero.

Non ci riuscirà, ma scriverà a suon di canestri pagine di storia indimenticabili.

Fabrizio Carcano

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